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mercoledì 15 gennaio 2014

The Butler, l'immutevole razzismo di massa

The Butler - i Freedom Writers attaccati dal Ku Klux Klan
Non illuda l’happy end di The Butler (2013), il razzismo è una piaga in ottima salute negli Stati Uniti, in Italia e in quasi tutto il resto del mondo.

di Luca Ferrari


Dalla schiavitù nei campi di cotone a maggiordomo della Casa Bianca. Il regista di Lee Daniels (Precious, The Peperboy) porta sul grande schermo l’incredibile storia (romanzata) di Eugene Allen. Nella pellicola The Butler (2013) il protagonista si chiama Cecil Gaines (Forest Whitaker) e si attraversano più di cinquant’anni di storia statunitense, arrivando alla prima elezione dell’attuale “comandante in capo” Barack Obama.

Storia familiare e della Nazione procedono unite e distinte. Da Forrest Gump (1994), passando per La meglio gioventù (2003) fino al più recente La mafia uccide solo d’estate (2013), la formula di mescolare vita privata ed avvenimenti reali raccoglie sempre molti consensi. The Butler – Un maggiordomo alla Casa Bianca (2013, di Lee Daniels) però impone altre riflessioni. Decise e senza mezze parole.

Nelle piantagioni della famiglia Westfall, Cecil (Michael Rainey) è un bambino di otto anni quando vede la madre Hattie (Maria Carey) violentata dal giovane e spietato proprietario bianco Thomas (Alex Pettyfer). Il padre non fa tempo a dire ehi all’autore del gesto, che si prende una palla in fronte.

La più comprensiva matrona allora, Miss Annabeth (Vanessa Redgrave), prende l’orfano con sé, addestrandolo come “negro di casa”. La nuova sistemazione però dura giusto qualche anno, il tempo d’imparare il mestiere e scappare. Lì fuori è anche peggio. Affamato e senza un tetto Cecile è disperato. Spacca un vetro per mangiare dei dolci. Se quella fosse la casa di un bianco, sarebbe morte (violenta) certa. Non è così. E la sua vita cambia per sempre.

Finisce a lavorare in un lussuoso hotel di Washington ma l’apartheid esiste ancora. Poi la chiamata impensabile. Segnalato da un facoltoso cliente, si ritrova alla Casa Bianca. Ci resterà il tempo di servire sette Presidenti: Eisenhower (Robin Williams), Kennedy (James Marsden), Johnson (Liev Schreiber), Nixon (John Cusack), Ford, Carter e Reagan (Alan Rickman).

Ma se il lavoro va a gonfie vele, sono le mura domestiche a far vacillare l’equilibrio di Cecile. La moglie Gloria (Oprah Winfrey) lamenta la sua quasi totale assenza in casa mentre il figlio maggiore Louis (David Oyelowo) si dimostra deciso a sposare la causa dei diritti dei neri, in netto contrasto con l’accondiscendenza paterna, e così se ne va a fare il college al Sud.

Sarà l’inizio di uno scontro padre-figlio che vedrà da una parte il maggiordomo della Casa Bianca deciso a non smuovere di un millimetro lo statu quo, ma convinto che le cose presto o tardi miglioreranno. Dall’altra, l’adesione del giovane Gaines prima ai Freedom Riders quindi alle più riottose Black Panthers. Lì nel mezzo, arresti, pestaggi e scontri contro gl’incappucciati bianchi del Ku Klux Klan e annesse croci infuocate.

Scena emblematica, commovente e triste allo stesso tempo, la cena con i coniugi Gaines, il figlio minore Charlie (Elijah Kelley) prossimo alla partenza per il Vietnam, Louis e fidanzata Black Panther, scioccante nel look e nei modi (rutto libero). Da una banale conversazione sul film Indovina chi viene a cena con l’attore nero Sidney Poitier, scoppia la miccia e la lite divampa tra i due maschi più grandi. La madre in principio difende il figlio dalla rabbia del marito, ma quando quest’ultimo viene etichettato con un denigrante  “maggiordomo”, lei lo fulmina intimandogli di uscire immediatamente dalla casa (puttanella inclusa).

Negri impiccati per le strade. Uccisi senza remore nei campi di cotone. Non è passato poi così tanto tempo da quando le persone di colore non avevano diritti. Eppure ci volgiamo tutti indietro fieri come se il mondo fosse tanto migliore adesso. Non lo è. E badate bene, non è un’opinione. Basterebbe guardarlo un po’ oltre uno schermo o un social network per rendersene conto.

I campi di sterminio non sono lontani da qui, dice Cecile alla moglie, ci dimentichiamo che anche noi li abbiamo avuti. Già quegli stessi che anche l’Italia ha in casa propria. I campi di detenzione degli sbarcati. Non-persone senza diritti e confinate. Scarlattati come "immigrati illegali". Trattati come inferiori. E questo grazie a vergognose leggi razziste. E questo grazie a partiti politici di stampo razzista (Lega Nord e Alleanza Nazionale) che hanno aizzato il liquame dell’odio verso chiunque non sia di casa propria, degno erede del più becero fascismo.

Ci hanno abituato a considerare tovaglioli da confessionale anche i tacchi più acuminati. Hanno distrutto epitaffi universali. Ci hanno abituato a vedere la normalità anche nel peggior abominio della mano. Allora come oggi gli indifesi del nostro giardino sono pellegrini cui scaricare addosso ogni fallita risurrezione.

Se t'interessa cinema e razzismo, leggi anche:
Guarda il trailer di The Butler – Un maggiordomo alla Casa Bianca 

The Butler - Hattie (Maria Carey)
The Butler - il Ku Klux Klan attacca un autobus dei Freedom Riders
The Butler - i coniugi Gaines, Gloria (Oprah Winfrey) e Cecile (Forest Whitaker)
The Butler - il presidente Nixon (John Cusack)
The Butler - il presidente Reagan (Alan Rickman)
The Butler - Cecile Gaines (Forest Whitaker)

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