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venerdì 19 giugno 2015

A due giorni e una notte dalla fine

Due giorni, una notte - l'esausta Sandrà (Marion Cotillard)
Il ricatto del padrone-sfruttatore alla classe lavoratrice intimorita. Lì nel mezzo, il destino di una donna. Due giorni, una notte (2014, di Jean-Pierre e Luc Dardenne).

di Luca Ferrari

Un momento hai la tua vita tra le mani. Ti sei offerta di preparare un paio di torte per la gita scolastica di tuo figlio. Non vivi nel lusso ma le bollette le paghi sempre. Pensi già alle prossime vacanze. Un attimo dopo anche una lampadina rimasta accesa un minuto in più diventa un problema. Che cosa è cambiato? Hai perso il tuo lavoro. Senza preavviso. Senza solidarietà. Scaraventato sulla strada nel moderno terzo millennio pieno di progresso senza che nessuno voglia/possa fare nulla per te. I registi belgi Jean-Pierre e Luc Dardenne (fratelli) raccontano il dramma del moderno precariato: Due giorni, una notte (2014, Deux jours, une nuit).

Il mondo del lavoro è cambiato. È peggiorato. I diritti scritti sulla carta non valgono più nulla. Le nuovi leggi sono create appositamente per essere aggirate a favore dei nuovi latifondisti del tempo determinato. Ai nuovi padroni non interessa nemmeno più guadagnare davvero (la non-crescita economica lo dimostra, ndr). Le redini dell’impiego sono in mano a ignoranti aguzzini incaricati di sfruttare ed esercitare il loro potere di piccoli burocrati. Le associazioni sindacali hanno ormai abdicato alla ribellione, mutando in scrostati monoliti dediti ai falsi miti. E a rimetterci ci sono sempre loro. Ci siamo noi. Uomini e donne ormai prostrati ai capricci di chi ha lo scettro.

Sandrà (Marion Cotillard) lavorava in una piccola azienda di pannelli solari. Negli ultimi tempi è rimasta a casa dal lavoro a causa di una forte depressione. Al suo rientro però la situazione è cambiata. Il titolare ha proposto a ciascuno degli altri dipendenti un bonus di 1000 euro in cambio del licenziamento della donna, mentendo sul fatto che sarebbe toccato a uno di loro in caso di rifiuto. C’è stata una votazione e ovviamente ognuno ha scelto i soldi.

Intercettato il proprio caporeparto, quasi al limite dell’accattonaggio Sandrà ottiene la possibilità di far rivotare il lunedì successivo. La donna dunque, moglie e madre di due bambini, ha a disposizione il sabato e la domenica per provare a convincere i suoi colleghi a ripensarci e riflettere un momento sul futuro della sua famiglia. Di fare una scelta rivoluzionaria: mettere un essere umano dinnanzi al proprio tornaconto.

Accompagnata dal fedele marito Manù (Fabrizio Rongione) e sempre sostenuta dall’amica Juliette (Catherine Salée), Sandrà passa in rassegna le abitazioni di tutti i colleghi. L’incipit è sempre lo stesso, le reazioni (ovviamente) differenti. C’è chi accetta, sostenendola senza se e senza ma. C’è chi “vorrei ma non posso proprio”. C’è chi la aggredisce a mal parole. C’è chi ha paura delle conseguenze di un gesto inviso alla direzione. Ed è qui il problema. Grazie a meschinità, Sandrà deve essere licenziata. Il suo disperato tentativo di salvare il posto altro non è che un “rompere le palle”, come l’apostrofa il perfido Jean-Marc (Olivier Gourmet).

Sandrà piange, non vuole più lottare. Non vuole più investire energie in una guerra che sa fin da principio è certa avrà un unico tragico finale: il suo licenziamento. Con alti e bassi, ricadute che le costano una lavanda gastrica d’urgenza, Sandrà arriva comunque fino in fondo. In attesa del risultato della votazione qualcosa comunque è cambiato dentro di lei. Un tempo aveva paura di affrontare le avversità. In quest’ultimo sfiancante fine settimana ha scoperto di saper lottare e di voler lottare. Il prof. Malley (Robert Redford) di Leoni per agnelli sarebbe fiero di lei. E adesso si, ho capito anch’io perché è importante mettersi in gioco anche se non otterrai quello per cui hai lottato. Forse nel conto in banca no, ma dentro di te di sicuro. E la nuova linea del destino prenderà un’altra strada.

Candidata agli Oscar 2015 come Miglior attrice protagonista, Marion Cottilard (già Academyzzata in Le Vie en Rose) è a dir poco superlativa in un ruolo così drammatico. Chiunque abbia perso il lavoro e si sia ritrovato nella situazione di dover ripartire da zero senza prospettive, non avrà difficoltà a ritrovarsi nello sguardo spento di Sandrà. Nel suo fisico più emaciato del solito, l’attrice francese trasmette fragilità. Si percepisce il suo respiro appesantito. E quando esausta si rifugia nel letto per dormire e non pensarci più, sa bene che non sarà così. È tutto vero. L’incubo della miseria per sé e la propria famiglia non è più un’ipotesi ma una tetra realtà.

Due giorni, una notte dei fratelli Dardenne è un film che fa star male. Realistico. Di notizia comune e quotidiana, eppure si va comunque avanti. Due giorni, una notte è una pellicola di cui si è parlato troppo poco a dispetto di pacchianate hollywoodiane da due soldi. La linea d’altronde è sempre quella. Impedire a chiunque di opporsi alla corrente cosicché gli sfruttati continuino a essere sfruttati e semmai se la prendano con i nuovi sfruttati mentre la classe dirigente continuerà a intascare. Sempre che alla prossima votazione i lavoratori non siano tutti, e ribadisco TUTTI, davvero uniti.

Guarda il trailer di Due giorni, una notte

Due giorni, una notte - Sandrà (Marion Cotillard) prova a convincere un collega
Due giorni, una notte - Sandrà (Marion Cotillard) prova a convincere un collega
Due giorni, una notte - Sandrà (Marion Cotillar) tra i colleghi che la sostengono
Due giorni, una notte - Sandrà (Marion Cotillard) ribatte a Jean-Marc (Olivier Gourmet)

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