!-- Codice per accettazione cookie - Inizio -->

giovedì 24 marzo 2016

Truth, salvate la libera informazione

TruthMary Mapes (Cate Blanchett)e Mike (Topher Grace)
I media rivelano. Il potere non perdona e colpisce. La libertà d'informazione è sempre più in pericolo. Truth – Il prezzo della verità (2016, di James Vanderbilt).

di Luca Ferrari

“Questo film racconta cosa è successo alla libera informazione. Come e perché è successo, e perché dovrebbe preoccuparvi”. A pronunciare queste sibilline parole è Dan Rather, uno dei più importanti giornalisti d’oltreoceano. La frase si riferisce a quanto accaduto a lui stesso e alcuni colleghi della CBS poco prima delle elezioni presidenziali del 2004. Basato sulle memorie giornalistiche di Mary Mapes, Truth and Duty: The Press, the President and the Privilege of Power, l’esordiente James Vanderbilt dirige Truth – Il prezzo della verità (2016).


Mary Mapes (Cate Blanchett) è una giornalista affermata con 20 anni di esperienza, nonché produttrice del servizio che rivelò al mondo l’orrore di Abu Grahib, la prigione irachena dove alcuni militari americani si divertivano a torturare i prigionieri nel modo più violento e umiliante possibile. A pochi mesi dalla sfida presidenziale Bush-Kerry, è ora sulle tracce di una notizia a dir poco esplosiva e che potrebbe minare non poco la rielezione dell’attuale inquilino della Casa Bianca, George W. Bush.

Con l’entusiasta placito del produttore esecutivo Josh Howard (David Lyons), il produttore senior Mary Murphy (Natalie Saleeba) e la vice presidente senior del network Besty West (Rachael Blake), la Mapes si mette in moto. Decisa e combattiva più che mai all’idea di sferrare un montante decisivo al Presidente repubblicano, al suo fianco in questa nuova missione giornalistica vengono schierati il Tenente Colonnello Roger Charles (Dennis Quaid), ex-Marine in Vietnam, il giovane freelance Mike Smith (Topher Grace) e la professoressa di giornalismo Lucy Scott (Elizabeth Moss).

Spulciati i contatti militari ai tempi aeronautici di W. Bush, grazie in particolare alle rivelazioni dell’ex-Tenente Colonnello della Guardia Nazionale dell’Aeronautica del Texas e oggi allevatore Bill Burkett (Stacy Keach), la notizia viene confermata e la redazione di 60 Minutes lancia la bomba: ai tempi della guerra in Vietnam il presidente George W. Bush trovò un comodo rifugio presso l’aeronautica del Texas pur non avendone alcun requisito. A darne notizia in diretta televisiva, un monumento del giornalismo americano, Dan Rather (Robert Redford). Lui che negli anni Ottanta era in Afghanistan a raccontare l’invasione sovietica.


Le critiche non tardano ad arrivare ma c’è di più. Si parla di falsificazione di prove con l'utilizzo di Microsoft Word. Una montatura ad hoc per screditare il Presidente. I tempi però del Watergate sono finiti e i pescecani non solo sono diventati sempre più potenti, ma si sono fatti anche più furbi. La lezione l’hanno imparata e anche se si tratta della CBS e Dan Rather, non fa differenza. Se il Washington Post fece lo sgambetto a Richard Nixon, questo non succederà ai Bush e saranno i giornalisti della CBS a pagarne le conseguenze.


“Una volta l’informazione era un dovere, adesso non lo è più e sarà sempre peggio” dice sconsolato Rader, ormai consapevole di quale direzione sta prendendo la storia. Dalla gloria alla polvere. Le bottiglie di champagne si trasformano in aridi corpi contundenti dove tutti i pezzi grossi della rete, presidente Heyward (Bruce Greenwood) incluso, non mancheranno di brandire.

Sceneggiatore di successo di Zodiac (2007), Total Recall (2012) e The Amazing Spider-Man 2 – Il potere di Electro (2014), questa volta Vanderbilt abbandona il fantasy e le storie irreali per concentrarsi su qualcosa di dannatamente vero, mettendo in discussione lo status quo. Sono da sempre un legame inscindibile invece Robert Redford e la contestazione al potere della politica (Tutti gli uomini del Presidente, Leoni per agnelli, La regola del silenzio).


Truth – il coraggio della verità
(2016, di James Vanderbilt) non è solo una pagina di giornalismo americano ma anche un thriller mozzafiato dove la libertà e l'integrità dell'informazione vengono messi all'angolo da un potere che non guarda in faccia nessuno. Ben assortita la coppia Blanchett-Redford, ancor di più quella formata dal “hippy” Topher Grace e “l’ex-militare” Dennis Quaid, quest’ultimo finalmente al rientro con un ruolo e un’interpretazione degna di questa nota. Mike è il classico giornalista del terzo millennio, idealista e freelance. Roger invece incarna il cambiamento. È sempre un militare ma non accetta la degenerazione ormai presa dalla propria nazione, arrivando a mettere in discussione perfino il suo Comandante in capo, ossia George W. Bush.

Libertà d’informazione e di pensiero. Un tema insolitamente visto di recente sul grande schermo. Dopo il troppo ignorato La regola del gioco (2014, con Jeremy Renner), sono usciti uno dopo l’altro L’ultima parola – La vera storia di Dulton Trumbo (di Jay Roach) e Il caso Spotlight (di Tom McCharty), quest’ultimo presentato a Venezia e vincitore del premio Oscar come Miglior film e Miglior sceneggiatura. In questa nuova pellicola la protagonista viene messa sotto accusa dall'avvocato Lawrence Lanpher (Dermot Mulroney) per avere permesso alle proprie idee di influire con la notizia.

Stop, fermate tutto. Secondo voi in cosa crede il sottoscritto? La risposta ve la sarete già dati, ergo io non potrei scrivere questo articolo. Eppure lo faccio. OK, cineluk è mio ma il taglio comunque si allinea con la visione del regista. Inutile fare gli ipocriti. Un giornalista ha una sua visione e le sue idee. Non è un caso che si parli di giornali di Destra e di Sinistra. Perché alla luce di certe notizie il taglio è del tutto diverso? Perché alcuni giornali considerarono l’azione statunitense in Iraq un'esportazione di democrazia e altri una mera aggressione militare? Chi lo decide? Chi ha ragione? Da che parte sta la verità?

Il giornalismo è entrato in un perverso meccanismo dove il reportage, la cura del dettaglio e l’autenticità passano in secondo piano. La sola cosa che si vuole ottenere sono scoop piccanti e paroloni ad effetto indicizzati al meglio su Google. Sul peso specifico delle notizie non vi è troppa richiesta, e se proprio si vuole spararla grossa, meglio evitare imbarazzi a chi è al centro della catena di comando perché la reazione non tarderebbe troppo ad arrivare.

Se i giornalisti e i giornali avranno sempre più le mani legate, ecco allora che le figure dei vari Julian Assange ed Edward Snowden potrebbero rappresentare la sola e futura chance di un’informazione libera anche se in certi casi troppo estrema e spregiudicata. Truth - Il prezzo della verità è un film che si schiera apertamente dalla parte di Mary Mapes e Ralph Nader ma allo stesso tempo non si tira indietro dal mostrare i difetti di un servizio, desideroso di sganciare la bomba sulla reputazione di W. Bush.

Le proprie idee saranno sempre alla base per qualsiasi azione delle nostre vite. Negarlo sarebbe come pretendere di sostenere la tesi che l’essere umano si relazioni al mondo senza passioni. Il giornalista ha di sicuro una responsabilità maggiore e se sbaglia, è giusto che venga sanzionato ma di sicuro chiudergli la bocca non è la risposta. Ed è bene che lo sappiate cari intoccabili, continueremo a fare il nostro lavoro e a fare domande (anche maledettamente scomode se necessario) fino a quando non otterremo delle valide e oneste risposte.

Guarda il trailer di Truth - il prezzo della verità

Truth – Ralph Nader (Robert Redford)

2 commenti:

  1. Ottima la recensione, eccellente la conclusione di Luca Ferrari. Il film è una vera e propria lezione di etica giornalistica. Ferrari pone molte domande. Essere giornalista e “fare il giornalista”. Qual è la differenza. Il giornalismo non dovrebbe essere inteso come un mestiere ma come una missione, passione, onestà e rispetto per la VERITA’. La verità è unica e innegabile. Se è vero che il rapporto con la verità è piuttosto soggettivo è vero anche…..che spesso si
    trovano pagine oscure, riciclate, addirittura pilotate dai “vari poteri” che siano direttori di giornali o partiti politici o ancora più in alto. E per dirla con Umberto Eco il giornalismo “assoggettato” è pura “macchina del fango”. Se il giornalista ha “le mani legate” le deve sciogliere a costo di essere arrogante e di perdere il lavoro. Non perderà mai la dignità e il rispetto di se stesso. “ Il giornalismo verità fa appello a quel che resta della deontologia e onestà che stanno alla base di questa Missione.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Cara Marta, è evidente che apparteniamo a due mondi giornalistici diversi. Il tuo è di sicuro quello più romantico dei Terzani, il mio è quello un po' più moderno dove non conti quasi nulla. Qualunque blogger crede di saperne più di te, l'esperienza non viene minimamente presa in considerazione e dove Wikipedia, senza nulla volerle togliere, viene considerata la bibbia. I sacrifici fatti per questo mestiere neanche li conto più, e per la mia integrità ho perfino subito mobbing, senza contare gli anni pagato al di sotto della soglia di povertà. Ecco, questo è il giornalismo del terzo millennio eppure vedi che sono ancora qui, che scrivo per amore del cinema. E quando ho la possibilità di farlo in modo ancor più specifico alzando i toni, le parole sgorgano impetuose. Cinema e giornalismo, il binomio perfetto per quanto mi riguarda eppure se poi andiamo a vedere le sorti dei protagonisti, Watergate e qualche raro caso a parte, c'è davvero da piangere!

      Elimina