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venerdì 30 settembre 2016

Fuocoammare, il cinema della speranza

Fuocoammare (2016, di Gianfranco Rosi)
Il dramma dei  migranti sbarcati a Lampedusa. Fuocoammare (2016, di Gianfranco Rosi). Il film italiano selezionato per concorrere alla cinquina dell’Oscar per il Miglior film straniero. Una scelta non condivisa da tutti.

Stremati. Indifesi. Annegati. È il dramma quotidiano di uomini, donne e bambini in arrivo sulle coste greche e italiane. Un viaggio talvolta della morte al termine del quale, ad attenderli, c’è spesso una vita grama, pregiudizi e indifferenza (istituzioni europee incluse). Un dramma questo raccontato nel documentario Fuocoammare (2016, di Gianfranco Rosi), film vincitore dell’Orso d’oro al Festival di Berlino 2016 e opera italiana scelta per concorrere alla cinquina dell’Oscar 2017 come Miglior film straniero.

Il cinema fa sognare. Il cinema fa riflettere. Il cinema può ispirare per cambiare. Fuocoammare è un documentario ambientato sull’isola siciliana di Lampedusa, terra di sbarchi di persone in fuga dall’orrore delle guerre, dittature e/o povertà. La sua nomination non ha convinto tutti, a cominciare da Paolo Sorrentino che lo ha bollato come “mero documentario”, cosa che senza dubbio è, e per questa ragione secondo il regista Premio Oscar de La grande bellezza, "sarebbe dovuto rimanere nella categoria specifica (di cui è in corsa per l'Academy) lasciando il posto a un altro film italiano, e invece così ha recato un danno al cinema nostrano".

Condivisibile o meno, se un'opera vale perché dovrebbe limitarsi a un'unica categoria se ha i mezzi per lasciare il segno? La dichiarazione del giurato Sorrentino poteva essere evitata, ma in questo l'Italia non è seconda a nessuno. Non di meno il regista partenopeo sembra avere la memoria piuttosto corta. Al Festival di Cannes 2004 con l'allora Presidente di giuria Quentin Tarantino, Michael Moore conquistò la
Palma d’oro con il film-documentario Fahrenheit 9/11. Non ho ricordi di futili e analoghe polemiche per la natura del lavoro del regista americano.

Non sarà facile arrivare alla Notte delle Stelle per Fuocoammare. Per sapere se il film e il suo regista siederanno al mitico Dolby Theatre di Los Angeles, bisognerà attendere il 24 gennaio 2017 quando verranno comunicati i titoli dei 5 film in gara. Oltre all'opera italiana, in lizza ci sono anche il cileno Neruda di Pablo Larrain, l'iraniano The Salesman di Asghar Farhadi, il russo Paradise di Andrei Konchalovsky, il film animato svizzero Ma vie de courgette
di Claude Barras, il tedesco Toni Ermann di Maren Ade e lo spagnolo Julieta (2016, di Pedro Almodovar).

Fuocoammare è stato selezionato in una ristretta lista della quale facevano parte altre sei pellicole, a cominciare dai due preferiti del pubblico: Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese e Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti, la cui "bocciatura per la strada dell'Oscar" ha scatenato l'ormai consueta becera volgarità su Facebook. Oltre a questi, rimandati anche Suburra di Stefano Sollima, Pericle il Nero di Stefano Mordini, Indivisibili di Edoardo De Angelis e Gli ultimi saranno ultimi di Massimiliano Bruno

Senza nulla voler togliere all’attualità del film di Genovese, lo spessore umano non è paragonabile all’opera di Rosi. Semplicemente è di un’altra categoria. Da una parte ci sono i 40enni alle prese con le proprie miserie esistenziali, figli troppo cresciuti di una tecnologia moderna dove emerege tutta la propria incapacità di vivere una vita umanamente sana coltivando e valorizzando relazioni oneste fatte di gioie, paure e soprattutto confronti. Dall’altra c’è un dramma costante nelle acque europee di cui si parla soprattutto con slogan buonisti-elettorali e un'esagerata ignoranza retorica.

Quanto agli altri candidati, aldilà dell'eccessivo chiasso e i troppi e immeritati David i Donatello ricevuti, il tanto decantato Lo chiamavano Jeeg Robot non è che l'ennesimo minestrone criminoso con furba strizzata d’occhio al trend del momento, i cinecomics americani. Non è da meno, anzi lo è decisamente, Suburra, dove il trend italiano di Gomorra ormai detta spietata e incontrastata legge portando ormai alla saturazione del genere. Opere modeste che si salvano per alcune singole e interessanti prove attoriali, in particolare Ilenia Pastorelli (Jeeg) e Claudio Amendola (Suburra).

Del tutto diverso il caso de Gli ultimi saranno ultimi con l’ottima interpretazione di Paola Cortellesi. Magari scontato e dal finale un po’ troppo facilitone, ma angosciante e incentrato sul dramma contemporaneo del precariato e delle gravidanze sempre più mal digerite nei posti di lavoro in barba ai diritti basilari e il cosiddetto progresso sociale. 

Sorrentino avrebbe preferito Indivisibili di Edoardo De Angelis. La sua è un opinione e come tale va rispettata ma allo stesso tempo dovrebbe capire che certe tematiche sono più importanti anche dei propri gusti personali. Nel mar Mediterraneo c’è gente che sta morendo e muore ogni giorno. Pensare che il messaggio e la cultura di Fuocoammare possano arrivare sempre più lontano anche grazie agli Oscar (cosa auspicata da Meryl Streep durante la consegna del massimo premio a Berlino), contribuendo così ad alimentare la speranza di costruire un mondo migliore, è qualcosa che tutti dovrebbero sostenere, Paolo Sorrentino incluso.

Fuocoammare (2016, di Francesco Rosi) sarà trasmeso in prima visione su Rai3 lunedì 3 ottobre h. 21.

Il trailer di Fuocoammare

Fuocoammare (2016, di Gianfranco Rosi)

martedì 27 settembre 2016

Il curioso caso di Elvis & Nixon

Elvis & Nixon – Elvis Presley (Michael Shannon) e il presidente Nixon (Kevin Spacey)
L’uomo più famoso del mondo e l’uomo più potente del mondo nella stessa "stanza". È il 21 dicembre 1970 e alla Casa Bianca Richard Nixon incontra Elvis Presley. Elvis & Nixon (2016, di Liza Johnson).

di Luca Ferrari

Come si fa a non voler vedere un film con al centro della scena due delle personalità più intriganti del XX secolo per di più interpretate da due dei migliori attori in circolazione? Sto parlando di Elvis & Nixon (2016, di Liza Johnson). E se per gli amanti della serie House of Card sarà un’autentica cine-goduria rivedere Kevin Spacey in vesti presidenziali (pensando magari a chi vincerebbe uno scontro tra Nixon e Underwood), la curiosità era tutta per il trasformista Michael Shannon qui nelle vesti e pose del re del rock, Elvis Presley.

Per sua stessa natura il rock è qualcosa che va contro le istituzioni, rompendo in qualche modo lo status quo. Non lui. Elvis vede un’America precipitare con sempre più giovani persi nella droga, ecco allora l’idea. Proporsi al Presidente degli Stati d’Uniti come agente federale (aggiunto) sotto copertura della narcotici. Capriccio da star o desiderio reale di servire la propria nazione?

Chi penserebbe d’altronde che una rock star di fama mondiale in realtà potesse mai essere un agente federale? Nessuno appunto. E per quanto folle, l’idea potrebbe addirittura essere buona, come si convincono lo stesso Capo del gabinetto H. R. Handleman (Tate Donovan) e il capo dei Servizi Segreti John Finlator (Tracey Letts, il capo del Dott. Michael "Christian Bale" Burry de La grande scommessa). Resta solo un ostacolo però, convincere Nixon stesso, per nulla incline in principio a questa folle idea, anzi.

Tutto questo vi sembra irreale? Sbagliato! È esattamente ciò che è accaduto. No, non nella fantasia di qualche visionario regista ma nella realtà, quella folle che si riesce a stento a credere. Elvis Presley (Michael Shannon) è deciso. Accompagnato dal fidato amico e addetto alle pubbliche relazioni Jerry Schilling (Alex Pettyfer), si presenta una mattina all’ingresso sud-ovest della Casa Bianca con lettera scritta a mano da far recapitare a Richard Nixon (Kevin Spacey), convinto e ansioso di fare la sua parte per la Patria (ma ve lo immaginate Vasco Rossi presentarsi al Quirinale da Sergio Mattarella chiedendo di fare un agente del controspionaggio, ndr)?

In anni in cui esistevano solo le lettere e il telefono, Elvis è quasi commovente. Sa di essere sopra le righe ma allo stesso tempo non si atteggia a chissà chi. A parte qualche bizzarro sosia, lo riconoscono tutti, scatenando (quasi) sempre una sincera ammirazione. Il giovane staff di Nixon poi, Egil Krogh (Colin Hanks, figlio del celebre Tom) e Dwight Chapin (Evan Peters), preoccupati a ragione per lo scarso appeal del Presidente tra le fasce non troppo adulte, pensano che questo incontro si potrebbe trasformare in un ottimo ritorno d’immagine per le future elezioni.

Arriva il momento del fatidico incontro e ci sono le inevitabili istruzioni per Elvis. Un momento, lui è il re. Ed ecco anche Nixon ascoltare le istruzioni per comparire davanti a Elvis, qui arrivato con un pomposo cinturone d’oro. Le porte dello Studio Ovale si aprono. Elvis Presley e Richard Nixon sono l’uno di fronte all’altro. La Storia farà il suo corso e non li dimenticherà mai anche se per ragioni del tutto differenti.

Michael Shannon (L’uomo d’acciaio, 99 Homes, Freeheld – Amore, giustizia, uguaglianza), visto di recente in una delle sue miglior interpretazioni della carriera, Nocturnal Animals di Tom Ford (film presentato in concorso a Venezia 73), regala al pubblico una prova eccezionale. Sebbene ottimamente doppiato da Pino Insegno (idem Spacey con le corde vocali di Roberto Pedicini), questo è uno di quei film che sarebbe stato davvero interessante ascoltare in lingua originale.

Più che al Nixon “OliverStoniano” interpretato da Anthony Hopkins de Gli intrighi del potere (1995), se penso a quel presidente degli Stati Uniti, la memoria plana immediatamente sulla grandiosa performance di Frank Langella alla corte di Ron Howard in Frost/Nixon - Il duello (2008). Il Nixon di Kevin Spacey è più un burbero uomo politico che si concede qualche minuto di svago con la star dello spettacolo. Non ci sono sotterfugi, ma una divertita curiosità. Questo Nixon è diverso. Protagonista di una folle parentesi, immortalata nella fotografia più richiesta alla Casa Bianca.

Elvis presta giuramento ma non svolgerà mai alcun ruolo federale, o almeno questo è ciò che si crede. La bravura di un agente è quello di fare il proprio lavoro senza che il mondo lo sappia. Ricordate la Naomi Watts di Fair Game – Caccia alla spia (2010)? E se Elvis avesse davvero portato a termine qualche missione segreta in barba al mondo intero? Non lo sapremo mai. Se n’è andato Nixon e se n’è andato Elvis. Loro oggi sono tornati sul grande schermo in Elvis & Nixon (2016, di Liza Johnson) e io sono già che fremo nell’attesa che esca il DVD del film.

Il trailer di Elvis & Nixon

Elvis & Nixon – Il presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon (Kevin Spacey)
Elvis & Nixon – Egil Krogh (Colin Hanks) al cospetto del re Elvis Presley (Michael Shannon)

venerdì 23 settembre 2016

La perfetta follia di Dory

Alla ricerca di Dory - Nemo, Dory e il polpo Hank
Sentimenti, grafica e storia. Tutto perfetto, forse anche troppo. La Pixar riporta sul grande schermo il mondo oceanico di Nemo, questa volta Alla ricerca della smemorata Dory.

di Luca Ferrari

Un pesce chirurgo con l’handicap della memoria a breve termine. Una storia toccante per l’ennesima volta più adulta che non bambina. Tornato a casa il piccolo Nemo, è ancora la famiglia il fulcro della nuova ricerca oceanico-PIXARIana. Alla ricerca di Dory (2016, di Andrew Stanton) è un film graficamente ineccepibile. Sentimentalmente perfetto. Forse anche troppo. Talmente bello dal chiederti se non fosse stato il caso di sbagliare qualcosa.

Lì, sulla barriera corallina, la vita acquatica ha ripreso a scorrere placida. Dory però, in qualche raro barlume di ricordo lontano, le sovviene di aver perduto la propria famiglia. Inizia una nuova avventura alla quale non si sottraggono Marlin e Nemo destinazione l’acquario Gioiello di Morro Bay, California. Con la complicità della tartaruga centenaria “ciaobbbello” Scorza (voce originale del regista stesso) e il figlioletto Guizzo, la combriccola arriva diiritta verso la sua meta.

Scorci di memoria iniziano a farsi strada, ed ecco Dory ritrovare i vecchi amici d’infanzia, lo squalo balena Destiny e il problematico beluga Bailey. Sul suo cammino (acqueo), le viene incontro il polpo camaleonte Hank, per nulla intenzionato a essere ributtato nell’oceano ma desideroso di godersi la vita placida nella rinomata struttura di Cleveland (strizzando un po’ troppo l’occhio ad Alex il Leone di Madagascar).

Dory è commovente. I suoi ricordi da piccina con tanto di occhioni da “gatto Shrekiano” sono un inno alla tenerezza. I suoi genitori, Charlie e Jenny, hanno dovuto affrontare il dramma peggiore: la scomparsa della propria figlia, ma non si sono dati per vinti e hanno lasciato tracce in modo che un giorno, se Dory fosse riuscita a ricalibrare la propria mente, li avrebbe ritrovati.

Dicembre 2003, un cinema fiorentino. Fu la mia prima volta con l’animazione del terzo millennio. All’epoca si parlava ancora di cartoni animati. All’epoca era tutto ancora un po’ grezzo. Alla ricerca di Nemo (2003, di Andrew Stanton) fu qualcosa di inaspettato. Mai visto prima. Rimasi a bocca aperta. Rimasi scioccato da quello che avevo appena visto sul grande schermo. 13 anni dopo l’emozione non è più la stessa.

Sono lontani i tempi di Up e Ratatouille, dove le storie dei Pixar Animations Studios avevano qualche scintilla in più. Col passare degli anni la qualità grafica e le esigenze di mercato ormai incentrate sui cosiddetti “young adult” ne hanno alterato la forma. Prima il troppo Disneyano The Brave – Ribelle (2012), poi l’altrettanto perfetto Inside Out (2015), e ora Alla ricerca di Dory. Tre colossi d’animazione che peccano di quella semplicità basilare per rendere un’opera davvero completa.

Il modo di agire di Dory è frutto dell’improvvisazione, senza un apparente piano deciso e ragionato. Segue l’istinto. Si arrangia con quello che ha, come il piccolo Nemo con la penna atrofica. Avere qualcosa di diverso dagli altri non significa valere di meno, e questo lo capirà perfino il meno ardimentoso Marlin. Qualcosa cui anche il burbero Hank si affiderà per far si che tutti “nuotino felici e contenti”.

“Volere è potere”, sembra sussurrare Dory. In un mondo giovanile e adulto dove il bullismo regna su tutti i livelli, un’opinione differente è sufficiente per far emergere tutta la bile nascosta o un torto (presunto) subito è sufficiente a mettere la parola fine alle relazioni umane, Alla ricerca di Dory (2016, di Andrew Stanton) è una dolce lezione di vita. Una strada che i tanti piccini venuti a vederlo, confidano inconsciamente che i propri genitori possano sostenere e a loro insegnare.

Il trailer di Alla ricerca di Dory

Alla ricerca di Dory - (da sx) il beluga Bailey, il polipo Hank, Dory e lo squalo balena Destiny
Alla ricerca di Dory - Guizzo, Marlin e Dory

mercoledì 21 settembre 2016

The Beatles per tutti, Eight Days a Week

I Beatles (da sx) - George, Paul, John e Ringo negli USA
Dai pub Liverpool agli stadi negli Stati Uniti. Ron Howard racconta il mito dei Beatles. Quattro ragazzi che suonavano 8 giorni la settimana, Eight Days a Week.

di Luca Ferrari

I concerti. Le interviste. Gli anni vissuti fianco a fianco. John Lennon, Ringo Starr, Paul McCartney e George Harrison, conosciuti anche come The Beatles. A distanza di più di quarant’anni dal loro scioglimento, la musica dei Fab Four continua ad affascinare. Il regista Ron Howard (Frost/Nixon - Il duello, Rush, Heart of the Sea - La vera storia di Moby Dick) racconta uno spaccato prima, durante e dopo il loro primo trionfale tour negli Stati Uniti: Eight Days a Week: The Touring Years, ed è inutile negarlo. Stare lì, in sala. A vedere al buio quei quattro che strimpellano è un’emozione autentica. Come rivedere la prima ragazza di cui ti sei innamorato che ti riconosce a distanza di decenni, ti sorride e poi scompare.

Ma perché i Beatles hanno avuto così tanto successo? “Erano sfrontati” risponde il loro manager. "Non erano i classici bad boys del rock and roll. Non erano maleducati. Avevano facce da bravi ragazzi ma allo stesso tempo erano ribelli, e gli adolescenti dell’epoca letteralmente impazzivano per loro. Sapevano rispondere e lo facevano bene. Non di meno, erano alla moda. Anzi, loro furono la moda con quel caschetto".

Furono i primi a fare un tour negli stadi americani, tale era la massa che voleva vederli. Perché se avessero suonato in un posto da poche migliaia di persone, 50.000 sarebbero rimasti fuori e per le forze dell’ordine, già stremate per mantenere la calma all’arrivo dei Fab Four, sarebbe stato impossibile. Gli americani potevano anche avere Elvis, ma lui era solo. Quelli di Liverpool invece erano in quattro e funzionavano alla grande, alla grandissima. John, Paul, George e Ringo. Hanno segnato un’epoca. Hanno fatto qualcosa che ancora nessuno aveva fatto prima.

Nel corso del film si fanno piacevolmente intervistare divi del grande schermo come le attrici Sigourney Weaver e Woopi Goldberg, ma il momento più toccante resta quella di una futura docente universitaria, nera. Adolescente all’epoca del concerto dei Beatles a Jacksonville, un posto dove esisteva ancora la segregazione raziale. Qualcosa che quando arrivò all’orecchio degli “scarafaggi”, scatenò l’immediata replica: “Noi non suoniamo solo per qualcuno. Suoniamo per tutti”.

“Fu la prima volta che partecipai un evento insieme a tutti senza discriminazione”, racconta la donna. E il merito di chi fu? Di quattro che non c’entravano niente con la realtà a stelle e strisce ma non chiusero gli occhi e pur sapendo che si sarebbero potuti inimicare una fetta (bianca) di popolazione, i Beatles andarono per la loro strada. Sotto quella facciata così bonacciona e in apparenza autori di canzonette leggere infatti, c’erano persone con le idee molto chiare, per nulla banali (ma proprio no!).

In tempo recenti i Beatles sono tornati protagonisti sul grande schermo, venendo riproposti i film che interpretarono nei te,mpi d'oro. Prima è stata la volta di Magical Mystery Tour (1967, di Bernard Knowles) poi di A Hard Day’s Night (1964, di Richard Lester). La musica sul grande schermo ha un fascino non indifferente. La settimana prossima arriverà un altro evento epocale. Nella sola giornata di venerdì 23 settembre arriva al cinema il leggendario concerto dei Rolling Stones a L’Avana Cuba dopo il disgelo tra Barack Obama e Raul Castro.

Gli anni Sessanta sono ormai un ricordo sempre più lontano e allora mi chiedo: che cosa potrebbero mai avere da dire i Beatles a un ragazzino di 14 anni? Non posso rispondere perché non ho più quell’età e quando ero adolescente i Beatles si erano già sciolti da parecchio tempo. Posso dirvi però che cosa hanno da dire i Fab Four a un quasi quarantenne: hanno da dire molto. Un concentrato di melodie, ispirazione e voglia di partire per l’ennesimo viaggio che non sai minimamente dove ti porterà. Proprio come la loro inimitabile musica.

Un’ultima riflessione. Arriva il momento dell’ultimo concerto. Quello che tutti conosciamo, sul tetto a Londra. Vedo John Lennon che ormai è solo John, già proteso verso una straordinaria carriera solista poi tragicamente stroncata dalla follia di Mark Chapman. Vedi quei quattro ormai separati in casa e non puoi non domandarti che cosa sarebbe successo se avessero avuto la voglia di continuare insieme. Forse non ci sarebbero state Imagine e Instant Karma. Forse ci sarebbe stato qualcosa di ancora più sublime.


Il trailer originale di Eight Days A Week

Eight Days a Week: The Touring Years (2016, di Ron Howard)
Eight Days a Week: The Touring Years -
(da sx): Ringo Starr, George Harrsison, Paul McCartney e John Lennon

giovedì 15 settembre 2016

Venezia 73, i miei giorni tonanti

giornalista in azione alla 73. Mostra del Cinema © Luca Ferrari
Sveglie all’alba. Cinecolazioni all’aria aperta al Lido. Film di qualità, e un caldo da estate inoltrata. Per il 9° anno consecutivo inviato stampa, vi racconto la mia Venezia 73.

di Luca Ferrari

Film, film e ancora film ma soprattutto la magia della Mostra del Cinema e l'atmosfera del Lido di Venezia. Ogni anno una sfida diversa. Ogni anno un’esperienza differente, condita per la prima volta in questo 2016 dalle mie ormai gustose cinecolazioni, consumate live in due occasioni davvero speciali: dopo il toccante Hacksaw Ridge di Mel Gibson, una delle migliori opere viste al Festival, e prima di The Magnificient Seven di Antoine Fuqua con protagonisti Denzel Washington, Hethan Hawke e Chris Pratt.

11 giorni consecutivi passati a svegliarsi quando fuori è ancor buio. L’arrivo in sala Darsena o in Sala Grande col Ciak Daily appena recuperato, la guida di Venezia 73 e l’immancabile Best Movie in formato pocket che anche quest’anno è stato distribuito gratuitamente. E mentre io passavo da una sala all'altra, il mio valido collega fotografo Federico Roiter immortalava le star prima all’arrivo in conferenza stampa, nel photocall e sul red carpet.

Se il film che mi ha più commosso (per tre volte le lacrime mi hanno solcato il viso) è stata la sopracitata opera dell’ex-Braveheart con protagonisti Andrew Garfield, Vince Vaughn e Sam Worthington, il buon Michael Shannon di Nocturnal Animals (di Tom Ford) è stato l’attore la cui performance andrebbe già premiata con l’Oscar per il Miglior attore non protagonista. Nel film presentato a Venezia, Shannon interpreta uno sceriffo ammalato di cancro ai polmoni deciso a offrire una possibilità di vendetta a un padre-marito (Jake Gyllenhall) che si è visto strappare via in modo efferato moglie e figlia da tre balordi.

La La Land? Simpatico e sognatore, ma rispetto allo stroncato The Light Between Oceans ha molto poco da dire in quanto a intensità. Il primo è stato osannato e vincerà/ha vinto premi (Venezia inclusa), il secondo sarà ricordato per le interpretazioni di una coppia che è tale anche nella vita: Michael Fassbender e Alicia Vikander. Toccanti anche The Bleeder, con il trasformista Liev Schreiber all’ennesima prova attoriale sopra le righe, ed Arrival, con Amy Adams impegnata a cercare una forma di comunicazione con dei pacifici extra-terrestri.

Deluso oltremodo da Tommaso di Kim Rossi Stuart e dal sopravvalutato Jackie di Pablo Larrain, a cui non basta la notevole interpretazione di Natalie Portman nei panni della vedova Kennedy, di tutt’altro spessore è il corale Questi giorni di Giuseppe Piccioni. Uno scanzonato road movie tutto al femminile? No, ma proprio no. Le quattro protagoniste sono universi distinti che forse hanno poco in comune tra di loro, eppure sono vicine. Caterina non si trasferisce nella solare Barcellona a lavorare, ma a Belgrado. Una città incupita da un recente passato di guerra (dove non sparano, come invece teme l’ansiogena Margherita Buy) ma viva nella voglia di ricominciare.

Gradevole assai L'estate addosso di Gabriele Muccino, una commedia leggera di un regista troppo sottovalutato.Opera interessante On the Milky Road di Emir Kusturica. Oltre al regista e una più che convincente Monica Bellucci, ben spalleggiata dalla divertente Sloboda Micalovic, il grande protagonista è il paesaggio selvaggio. C’è tutto. Sole, vento, pioggia, fulmini e poi loro, quelle tragiche mine antiuomo, emblema della follia umana di cui molti esemplari (prodotti anche in Italia) sono ancora nascosti sotto la terra balcanica. Una terra di nessuno dove nel dopo guerra in troppi hanno fatto ciò che hanno voluto.

A dir poco incomprensibili i fischi e qualche “vergogna” lanciati a Piuma di Roan Johnson. Chi era alla proiezione stampa del mattino avrà anche sentito a più riprese grasse risate, ed è indubbio che il film abbia divertito. Storia di due maturandi alle prese con la gravidanza. Lei, famiglia disastrata, lui famiglia incazzata (specie il padre) per la situazione e con tanto di nonno “Simpsoniano”. In un momento storico dove i figli diventano una sudata conquista degli over 30-40, vedere due diciottenni che con legittime paure e inevitabili sbagli-ripensamenti lottare per portare al mondo una vita, è un messaggio di speranza per un’Italia sempre più divisa.

L’ultimo film visto a Venezia 73 è stato The Magnificient Seven di Antoine Fuqua, remake di un remake. Non posso dire di essere cresciuto coi film western, anche se la trilogia di Sergio Leone è qualcosa che brilla nel mia passato cinematografico, ma qualcosa in questo film ha trovato un facile accesso nella mia anima. Su tutto, le esauste parole della vedova Cullen (Haley Bennett) rivolte allo scaltro uomo di legge (e di mondo) Sam Chisolm (Denzel Washington): “cerco giustizia ma mi accontento della vendetta”.

Ovunque mi volti ognuno pretende di saperne più degli altri. La gente sputa fiele. I politici giocano, il popolo risponde con pratiche da anni ‘70 convinto di contare qualcosa. Esistono ancora le vittime? Sembra di no. Sembra, appunto. Ce ne sono ancora tante, troppe e ancora oggi nessuno le sa proteggere davvero. Dalle bombe in Siria ai terremotati del Lazio e tutto quel mondo di cui neanche abbiamo le generalità, eserciti di affaristi e burattinai muovono le proprie pedine in attesa che il proprio capitale aumenti-alimentato dall’acre fetore del sangue sempre più denso.

E allora guardate, non me ne frega nulla di cosa sia corretto e cosa no. Certa feccia come Bartholomew Bogue (Peter Sarsgaard) potrebbe anche sparire dalla faccia della Terra e dormirei bene comunque la notte. Qui, dalla 73° edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (31 agosto – 10 settembre) penso che invece dei magnifici sette, per cambiare le cose ci vorrebbero i Magnifici 70, 700, 7.000, 70.000, 700.000, 7.000.000 oi più semplicemente, I magnifici 7 miliardi.

Mostra del Cinema (sala Darsena) – il primo giorno a vedere La La Land © Luca Ferrari
Mostra del Cinema – Da una sala all'altra insieme al pocket Best Movie © Luca Ferrari
Mostra del Cinema – La nuova struttura urbana del Lido per il festival © Luca Ferrari
Mostra del Cinema – Un sole accecante per la gioia dei bagnanti © Luca Ferrari
Mostra del Cinema – Alle 8 del mattino la gente è già in coda © Luca Ferrari
La mia prima grande cinecolazione alla Mostra del Cinema post Hacksaw Ridge © Luca Ferrari
Mostra del Cinema – Il fiero Leone del Festival punta la 73° edizione  © Luca Ferrari
Mostra del Cinema – In conferenza stampa con Ashley Green e James Franco © Luca Ferrari

Mostra del Cinema – La calca per il red carpet di Jude Law e Paolo Sorrentino © Luca Ferrari
Mostra del Cinema – I manifesti dei film intorno l'ingresso della spiaggia Excelsior © Luca Ferrari
Mostra del Cinema – All'imbarcadero del Lido di Venezia è subito clima da festival © Luca Ferrari
La cinecolazione alla Mostra del Cinema prima di The Magnificient Seven © Luca Ferrari

lunedì 12 settembre 2016

Gli ultimi magnifici di Venezia 73

73. Mostra del Cinema – Denzel Washington e Monica Bellucci © Federico Roiter
Monica Bellucci, Denzel Washington, Chris Pratt, i registi Emir Kusturica e Antoine Fuqua hanno elettrizzato gli ultimi due giorni di Venezia 73.

di Luca Ferrari

La 73° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (31 agosto – 10 settembre) si è ormai conclusa. Ma prima dell’articolo finale è giusto raccontarvi qualcosa degli ultimi due giorni, caratterizzati dal red carpet di star del calibro di Monica Bellucci e il due volte premio Oscar Denzel Washington, sbarcati in laguna rispettivamente per l’anteprima in concorso di On the Milky Road (di Emir Kusturica) e fuori concorso di The Magnificient Seven (di Antoine Fuqua).

Storie di guerra differenti. Kusturica e Fuqua. Il vecchio cuore balcanico batte per una donna in fuga, Monica Bellucci, qui in una delle migliori interpretazioni della carriera. Davanti e dopo di loro, gli strascichi dell’ignorato e fratricida conflitto slavo. Fuqua riprende il sodalizio con Denzel per portare sul grande schermo l’ennesimo remake della stagione partendo da Kurosawa e approdando a John Sturges. Il risultato è un western multietnico carico di coraggio.

Uomini dalla parte dei più deboli con il latin lover (nel film) Chris a vincere il premio per il pistolero più simpatico, facendo incetta di applausi anche col pubblico assiepato per un suo autografo. Lui però fa di più. E avvicinandosi col cappello da cowboy, eccolo porgerlo a una bambina per la gioia della piccina e dei moltissimi presenti. Un colpo impeccabile per la giovane star che di certo resterà imperitura nella memoria “passerellesca” del Lido di Venezia, e "catturato" dall'onnipresente fotografo veneziano Federico Roiter, ancora uan volta nel posto giusto al momento giusto.

E mentre Denzel scambia due chiacchiere con “Mr Biennale” Paolo Baratta e la coprotagonista di Monica, l’incantevole Sloboda Micalovic, incanta il photocall immersa in un morbido viola-ciclamino, il futuro “Leone d’Oro” Lav Diaz entra leggiadro nella Sala Grande, in attesa di venire incoronato il vincitore di questa edizione del festival veneziano con il film The Woman Who Left. Vengono proclamati tutti i vincitori di questa edizione del Festival. Ora resta solo un'ultima cosa da scrivere. 

73. Mostra del Cinema – Monica Bellucci e Sloboda Micalovic © Federico Roiter
73. Mostra del Cinema – il regista Emir Kusturica © Federico Roiter
73. Mostra del Cinema – Monica Bellucci ed Emir Kusturica © Federico Roiter
73. Mostra del Cinema – Monica Bellucci pronta per il red carpet © Federico Roiter
73. Mostra del Cinema – Denzel Washington parla con Paolo Baratta © Federico Roiter
73. Mostra del Cinema – Denzel Washington si avvicina alla folla © Federico Roiter

73. Mostra del Cinema – Chris Pratt regala il suo cappello a una bambina © Federico Roiter
73. Mostra del Cinema – bagno di folla per Chris Pratt © Federico Roiter

73. Mostra del Cinema – il regista Lav Diaz va a ricevere il Leone d’oro © Federico Roiter