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venerdì 7 ottobre 2016

Cafè Society, aroma di cinema delicato

Cafè Society - Vonnie (Kristen Stewart) bacia appassionata Bobby (Jesse Eisenberg)
Ironico. Melodrammatico. Divertente. Hollywoodiano. Aromi attoriali. Regia raffinata. Cafè Society (2016, di Woody Allen) seduce e ispira.

di Luca Ferrari

Lo charme del mondo del cinema. Una famiglia ebrea. Una bellezza delicata della porta accanto. Un “anatroccolo” romantico. L’alchimia di due giovani non-attori. Un maestro della settima arte con ancora tanta voglia di far innamorare del grande schermo. Cafè Society (2016) è una storia. Woody Allen ce la racconta. E lo fa con la passione di un mondo di cui oggi al massimo esiste qualche frammento. Un mondo che una volta sapeva solo vivere e restare immortale solo nei propri ricordi e in qualche fermo immagine.

New York, anni ’30. Bobby Dorfman (Jesse Eisenberg) conduce un’esistenza tranquilla lavorando nella bottega del padre. Attirato dai bagliori del cinema, e con la possibilità di appoggiarsi allo zio materno Phil Stern (Steve Carell), abbandona la Grande Mela destinazione Los Angeles con la speranza di lavorare un giorno come agente cinematografico. Dopo i primi maldestri tentativi di adattamento, finalmente riesce a parlare con il sempre impegnato zio la cui giovane e affascinante segretaria, Veronica detta Vonnie (Kristen Stewart) lo porta a fare conoscenza della città.

Bobby è inesperto in tutto, nella vita e nell’amore. Non ha importanza se Vonnie dice di essere impegnata con un misterioso giornalista sempre in giro per lavoro, Cupido ha ormai scagliato la sua freccia. Smaltita l’eccitazione iniziale, Vonny e Bobby diventano presto immuni al fascino delle grandi star preferendo una vita più normale. E se il destino ci mettesse il suo zampino, sarebbero una coppia perfetta nella più poetica New York City. La vita però non è un bourvard perfetto, anzi, segue il copione di qualche sadico sceneggiatore. E come si evolverà la storia dunque, è ancora tutto da vedere.

Dimenticati (per fortuna) i tempi in cui il quattro volte premio Oscar regalava spot a città europee (Vicky Cristina Barcelona, Midnight in Paris, lo scialbo To Rome with Love), il 2016 segna un nuovo, romantico e nostalgico inizio. Nei suoi ultimi tre lavori, a cominciare da Blue Jasmine (2013) e passando poi per i meno potenti Magic in the Moonlight (2014) e Irrational Man (2015), Allen sembrava orientato a puntare più sulle singole performance attoriali delle varie Cate Blanchett, Emma Stone e Jacquin Phoenix che non sulla storia.

Cafè Sociey invece, funziona sotto ogni aspetto. Ha l’accuratezza di un orologio da taschino e una modernità che solo chi ha qualche annetto già sulle spalle potrà davvero comprendere, e assaporare. New York, Hollywood e ancora New York. Cafè Society si sonda lungo un sentiero circolare dagli spigoli morbidi che il buon vecchio regista newyorkese dimostra di conoscere assai bene. Lui sfreccia, si ferma a fissare il tramonto e ti strizza l’occhio mentre si rimette in marcia lasciando che il vento prenda appunti dai suoi ultimi protagonisti.

Non siamo al livello dei Tenenbaum, ma anche la famiglia Dorfman ha il suo perché. Se il papà Marty (Ken Scott) è pacifico e incassa le steccate coniugali, mamma Rose (Jeannie Berlin) spara al vetriolo. Evelyn (Sari Lennick), la sorella, è sposata con un fin troppo pacifico filosofo, mentre il fratello Ben (Corey Stoll) unisce l’utile e il pratico nelle sue non troppo precisate attività lavorative diciamo più in linea con un certo trend sbrigativo.

Meno strabordante rispetto a ruoli passati come l’incazzoso (e grandioso) Mark Baum di La grande scommessa (2015) o ancor prima lo psicotico allenatore di lotta John Du Pont nel sottovalutato Foxcacther (2014), nella sua prima incursione Alleniana il versatile Steve Carell è un uomo importante e super-impegnato. Conteso dall’amore storico per la moglie e il fascino di una più giovane amante. Sempre posato, anche nel momento della condivisione del tradimento. Comanda e racconta frottole ma allo stesso tempo mantiene lucidità e umiltà

Fin dai tempi dell’inseguimento ai criminali di guerra nei Balcani al fianco di Richard Gere in The Hunting Party (2007), Jesse Eisenberg dimostrò il suo talento, sublimato poi nell’interpretazione di Mark “Facebook” Zuckerberg in The Social Network (2010), e passando poi per altri ruoli intensi come nel poetico The End of the Tour (2015) e pure il modesto cinecomic Batman v Superman: Dawn of Justice (2016) dove staccava il resto del cast interpretando il giovane Lex Luthor.

Dopo aver preso parte nel corale e anemico To Rome with Love (2012), Mark torna a farsi dirigere da Woody Allen ma questa volta il risultato è di tutt’altro spessore. Il suo Bobby è un anatroccolo e un gigante. Non esagera. Sembra ancora un ragazzino e pur diventando un uomo di famiglia conserva lo sguardo di chi non ha smesso d’innamorarsi della vita lasciando tuttavia una parte del suo cuore ancora dolcemente legato alla sua prima “cotta”.

Dopo Into the Wild e la saga di Twlight, la giovane Kristen Stewart ha preso la sua strada più incentrata sul fronte indipendente. Meno Biancaneve, più Alice (Still). Il feeling con Eisenberg, già testato nel recente American Ultra (2015, di Nima Nourizadeh), c’è e funziona alla grande. A dispetto dei suoi 26 anni e i 33 del partner cinematografico, a tratti sembrano due adolescenti. Lei, un po’ “incasinata”, lui dolce e sensibile. Chiunque ami la magia del cinema li vorrebbe vedere salire in macchina, prendere la strada l’orizzonte e non vedere mai i titoli di coda, immaginandoseli davanti all’oceano con un buona bottiglia di vino francese.

Cafè Society (2016, di Woody Allen), tornerò una seconda volta al cinema per vederlo ancora.

Il trailer di Cafè Society

Cafè Society - Vonnie (Kristen Stewart) passeggia insieme a Bobby (Jesse Eisenberg)

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