!-- Codice per accettazione cookie - Inizio -->

mercoledì 31 maggio 2017

Jack Sparrow affronta la vendetta di Salazar

Pirati dei Caraibi: la vendetta di Salazar - la ciurma maledetta guidata da Salazar (Javier Bardem)
Fantasmi, due innamorati e Jack Sparrow. La Disney fa rotta sull'usato sicuro per il quinto capitolo della saga dei Pirati dei Caraibi: La vendetta di Salazar (2017, di Joachim Rønning ed Espen Sandberg).

di Luca Ferrari

Un pirata in semi-disgrazia è braccato dall'ennesimo nemico lasciato sul campo di battaglia parecchi anni (e leghe sotto i mari) or sono. Complice un interesse comune con due novellini dalla stirpe “illustre", Jack Sparrow e la sua ciurma riprendono il largo dei Caraibi e questa volta dovranno respingere la vendetta di Salazar (2017, di Joachim Rønning ed Espen Sandberg), ex-capitano dell'Armada Spagnola. Un tempo indomito cacciatore di pirati, e oggi fantasma deciso a compiere il proprio spietato destino.

Il giovane Henry Turner (Brenton Thwaites), figlio dell'ormai neo-capitano dell'Olandese Volante, Will (Orland Bloom), rivuole il proprio padre a terra. Per rompere la maledizione gli serve il leggendario tridente di Poseidone. E per trovare quest'ultimo gli serve il pirata Jack Sparrow (Johnny Depp). Ma che fine ha fatto? C'è chi dice che sia morto. Cuore indomito e ribelle come il suo vecchio, Henry fa la conoscenza di Carina Smyth (Kaya Scodelario), l'unica in grado di leggere una mappa segreta e condurlo lì dove sta cercando di andare. Tra i due giovani però c'è anche la celebre bussola di Sparrow.

Un oggetto quest'ultimo cui è anche mortalmente legata il fantasma di Armando Salazar (Javier Bardem). Perso il proprio padre per mano piratesca, giurò di epurare i sette mari dalla loro presenza iniziando una spietata caccia alle bandiere nere con teschi senza mai fare prigionieri. Poi un giorno, dopo l'ennesima trionfale battaglia, s'imbattè in un giovane che a dispetto dell'apparente debolezza, lo sfidò faccia a faccia: il suo nome era Jack, da quel momento in poi ribattezzato Sparrow (passero). Salazar subì un'incredibile sconfitta e da allora è confinato in questa nuova forma di esistenza.

Salazar uccide senza pietà chiunque, inclusi gli equipaggi della flotta di capitan Barbossa (Geoffrey Rush), col quale finisce per stringere un accordo per acciuffare Jack, nel frattempo lanciatosi nell'impresa insieme a Henry, Carina e il suo fedele equipaggio guidato dal fido Gibbs (Kevin McNally). Il tridente infatti non solo sarebbe la salvezza di Will Turner, ma anche per Jack che così si libererebbe di Salazar. Barbossa invece, già sogna di diventare il dominatore di tutti i mari.  Interessi, doppi giochi e il ritorno della leggendaria Perla Nera. L'avventura penetra negli abissi.

Fantasmi, due indomiti innamorati e i (tiepidi) battibecchi pirateschi tra capitan Barbossa e Jack Sparrow. Pirati dei Caraibi – La vendetta di Salazar (2017, di Joachim Rønning ed Espen Sandberg) non aggiunge nulla di nuovo a quanto già portato sul grande schermo dalla Walt Disney Pictures e Jerry Bruckheimer. Il massimo che può aspirare è regalare una serata di spensierato e fresco relax, condita da qualche divertente gag, su tutte Jack portato al patibolo che supplica i propri aguzzini con le parole, “Vi prego non uccidetemi, sono un pisciasotto!".

Sono passati 14 anni ormai da quando Johnny Depp (Edward mani di forbice, Dead Man, Dark Shadows) indossò per la prima volta i panni (aromatizzati al rum) di capitan Jack Sparrow ma nessuno dei quattro sequel si è mai lontanamente avvicinato ai livelli de La maledizione della prima luna (2003, di Gore Verbinski). La vendetta di Salazar presenta gli stessi ingredienti della prima avventura: fantasmi, due giovinetti e la coppia Sparrow & Barbossa. Dov'è la novità? È inesistente. Il cameo di Paul McCartney poi, del tutto superfluo.

Troppo simili poi i personaggi Henry Turner e Carina Smyth al di lui padre Will (Orlando Bloom) e madre, Elisabeth Swan (Keira Knightley), entrambi presenti per pochi spezzoni. La presenza di questi ultimi sa più da romanzo di letteratura inglese di campagna che non scanzonata cine-cozzaglia di mezzi-galantuomini. Più o meno per fortuna, Jack Sparrow è sempre lo stesso ma almeno il finale sarebbe potuto essere meno ammiccante con l'ultimo ciak della "Prima Luna".

Oltre che al pirata Jack, gli occhi erano ovviamente puntati sul nuovo antagonista, ossia il capitano Armando Salazar. Uso notevole di effetti speciali a parte, il resto è ordinaria amministrazione. Il comunque bravo Javier Bardem (Non è un paese per vecchi, Vicky Christina Barcelona, To the Wonder) sembra ancora troppo ancorato ai modi placido-spietati del “Mendesiano” Raoul Silva di Skfall (2012). Anche lì, prima dalla parte della Legge e poi spietato nemico del “buono” James Bond 007 (Daniel Craig).

Jack Sparrow è uno degli indiscussi protagonisti del terzo millennio cinematografico. Un personaggio entrato nel popolare grazie al carisma e trasformismo di Johnny Depp. Si poteva sfruttare meglio un simile tesoro con sceneggiature più adeguate, senza far leva su effetti speciali sempre più mirabolanti e la presenza di eccessivi personaggi. La vendetta di Salazar (2017, di Joachim Rønning ed Espen Sandberg) val bene giusto una serata solitaria, tra amici o in famiglia. Nulla di più. Si guarda, si ridacchia e si esce, in attesa di godersi qualche vero grande film.

Il trailer di Pirati dei Caraibi - La vendetta di Salazar

Pirati dei Caraibi: la vendetta di Salazar - Barbossa (Geoffrey Rush) e Salazar (Javier Bardem)
Pirati dei Caraibi: la vendetta di Salazar -
Carina Smyth (Kaya Scodelario), Jack Sparrow (Johnny Depp) ed Heny Turner (Brenton Thwaites)

sabato 27 maggio 2017

Fortunata, storie di ordinaria periferia

Fortunata - il volto segnato di Fortunata (Jasmine Trinca)
L'ormai abusata provincia italiana. I luoghi comuni umano-sociali. Presentato a Cannes, Fortunata di Sergio Castellitto esalta gli attori protagonisti, molto meno la storia.

di Luca Ferrari

La donna abbandonata, madre single e decisa a svoltare la propria vita. L'amico omosessuale sensibile con la madre attrice. La figlia arrabbiata. L'ex-marito volgare e violento. Lo psicologo che s'innamora della paziente. Grandi e singole interpretazioni a parte, la storia di Fortunata (2017, di Sergio Castellitto con sceneggiatura di Margaret Mazzantini) è un collage di luoghi comuni. Presentato nella sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes 2017, è ora uscito anche sul grande schermo italiano.

Fortunata (Jasmine Trinca) è una combattiva parrucchiera. Insieme all'amico tatuatore Chicano (Alessandro Borghi) corre su e giù per Roma con la speranza di poter finalmente aprire un proprio salone, dando così una svolta alla propria vita e quella della figlioletta Barbara (Nicole Centanni). Nel frattempo Fortunata lavora in nero, andando di casa in casa a fare i capelli. Per farlo, è costretta a lasciare la piccina nei centri estivi gestiti dalle suore, cosa molto poco gradita dalla bambina.

A mettere veleno nella sua esistenza riaprendo le ferite del passato, l'ex-marito Franco (Edoardo Pesce). Sebbene non ancora divorziati per la legge, non vive più sotto lo stesso tetto. È arrabbiato con Fortunata. È manesco. Ogni volta che si presenta a casa la obbliga a rapporti sessuali forzati. Lei subisce. Non può scappare. Chicano, residente al piano inferiore con l'anziana madre malata di Helzheimer, Lotte (Hanna Schygulla), sente ma non agisce mai.

All'ennesimo incontro-scontro tra Fortunata e Franco, viene deciso che Barbara debba sottoporsi a un periodo di sostegno psicologico, e così viene accolta dal dott. Patrizio (Stefano Accorsi). Inizialmente snobbato, l'uomo inizierà a rivestire una figura sempre più importante nella vita di Fortunata portandola a fare scelte che arriveranno a essere (quasi) controproducenti nella propria sfera affettiva.

Roma, anno 2017. Il modello economico cinese è sempre più quello dominante. L'italiano medio ex-proletario, e ora all'inseguimento dell'indipendenza, annaspa senza venirne fuori. Fa caldo. Non v'è traccia dell'elegante del centro storico. Solo condomini e luci al neon. Striature Amlodovoriante con spruzzate di Una mamma per amica in chiave "malinco-italiana", Fortunata (di Sergio Castellitto) lascia emergere tutta la bravura dei proprio interpreti, abbandonando però la strada dell'originalità.

Su tutti, lo stereotipo del gay incapace di difendere l'amica. Ogni tanto però, invece di far vedere sempre e solo stalker, sarebbe interessante mostrare anche qualche maschietto nostrano alzare le mani contro chi abusa delle donne, come faceva il ruvido cowboy Einar (Robert Redford) in difesa della nuora Jean (Jennifer Lopez) nel drammatico Il vento del perdono (2005, di Lasse Hallström). Invece no, o vittime o carnefici.

Jasmine Trinca (Il caimano, Il grande sogno, Un giorno devi andare) è un felino che si aggira nella savana di cemento. Combatte senza mai cedere alle lacrime. Forse ne ha versate abbastanza e non ha più tempo nemmeno per concedersi un po' di sconsolata tenerezza interiore. Rasato e malavitoso in Suburra (2015, di Stefano Sollima), qui capellone-barbuto e tremulo dinnanzi alla violenza. Il Chicano di Alessandro Borghi sarà di sicuro uno dei personaggi che verranno maggiormente ricordati nella carriera dell'attore romano classe '86.

Il triangolo Trinca- Borghi-Pesce è perfetto, forse anche troppo. Gli occhi della donna sono un concentrato di rabbiosa determinazione. L'amico sincero è una docile creatura. Perfetto lui: camicia aperta con pelo del petto fuori, mammà che gli stira le camice e volgare oltre modo. Pare perfino di sentire l'odore del suo alito alcolico mentre abusa della donna. In questo circolo umano fin troppo tipico del terzo millennio italiano, ecco arrivare lo psicologo, puntualmente svilito per il mestiere che fa, che non rinuncia all'ennesima sfuriata isterica tipo di Stefano Accorsi (L'ultimo bacio, Santa Maradona, Veloce come il vento).

Sergio Castellitto (Non ti muovere, In Treatment, Nessuno si salva da solo) è un regista dalle grandissime capacità e non sono certo io a scoprirlo. Ci sono film drammatici però capaci di catturarti a tal punto che a dispetto della sofferenza che continuano a far provare, vorresti ancora rivederli. Un fulgido esempio è Venuto al mondo con Emile Hirsch e Penelope Cruz, proprio da lui diretto. Non è così Fortunata. Purtroppo no.

Fortunata - il buon Chicano (Alessandro Borghi)
Fortunata - lo psicologo (Stefano Accorsi) e la piccola Barbara (Nicole Centanni)

sabato 20 maggio 2017

Gold, la truffa non è della Terra

Gold - Acosta (Édgar Ramírez), Wells (Matthew McConaughey) e Kay (Bryce Dallas Howard)
Dal sudore della terra  (scavata) indonesiana ai salotti trionfanti di Wall Street. Lì nel mezzo un'insaziabile fame d'oro. Gold – La grande truffa (2016, di Stephen Gaghan).

di Luca Ferrari

Wall Street offre, Wall Street toglie. Il sogno americano si presenta e ritrae. Si contorce. Sono gli anni del capitalismo più sfrenato. L'economia gira. La gente vuole accumulare e apparire. Per chi ha conosciuto una certa agiatezza, ritrovarsi a utilizzare il bar dove lavora la propria ragazza non è proprio il massimo ma la vita è anche questo. Cadute rovinose, ritorni da campioni. Ricevimenti negati, incontri in grande stile. Questa è l'America, baby. Questo è Gold – La grande truffa (2016, di Stephen Gaghan).

Kenny Wells (Matthew McConaughey) è un uomo d'affari specializzato nell'estrazione mineraria. La ruota della Terra però gira e Kenny non è uno che si accontenta. Lui vuole di più. Vuole sfondare. Ma invece dello champagne si ritroverà con la pancia gonfia e un incessante sbattere la testa. Poi un giorno ha un'idea. Una premonizione. Segue l'istinto e si getta a capofitto in una missione nel cuore dell'Indonesia coinvolgendo l'esperto Michael Acosta (Edgar Ramirez). Un'impresa che chiamarla azzardata è dire poco.

Kenny è determinato. O forse pazzo. O ancora forse è arrivato il giorno dell'ultima cartuccia da sparare e prima di alzare bandiera bianca dovrà davvero succedere di tutto. Kenny beve ma non si piega. Lì nella giungla si prende la malaria, poi qualcosa cambia. La terra si tinge di giallo. I carotaggi danno il risultato sperato fino a pochi giorni prima, a dir poco utopistico. Ha inizio una seconda vita. La riscossa. La miniera d'oro arriva fino a Wall Street.

Non tutto è oro però ciò che luccica e quando Wells rifiuta  di cedere l'attività al potente Mark Hancock (Bruce Greenwood), dai forti legami con la presidenza Suharto, qualcosa nella macchina vomita-milioni si inceppa e ha inizio il declino. Al suo fianco c'è ancora Kay (Bryce Dallas Howard) ma il calvario adesso ricomincia fino alla più improbabile delle conclusioni. Ispirato allo scandalo minerario Bre-X del 1993, è uscito sul grande schermo Gold – La grande truffa (2016, di Stephen Gaghan).

Più ancora degli anni Ottanta quando la middle class conduceva una vita relativamente tranquilla e gli squali della Borsa si spartivano (a loro insaputa) le ricchezze del Pianeta, nella giungla spietata del terzo millennio il dio denaro muove i suoi fili pescando con fin troppa facilità tra tutti coloro che ormai vivono sull'estenuante filo della miseria. Oggi ancor di più che in passato siamo disposti a tutto pur di avere una chance di ribaltare la nostra esistenza con una semplice mossa.

Kenny Wells non è Jordan Belfort Stephen Gaghan non è Martin Scorsese. Se quest'ultimo nel tanto decantato The Wolf of Wall Street (2013) arrivava a dare un'immagine quasi simpatica di uno dei peggiori squali dell'alta finanza, la misura registica di Stephen è di tutt'altro spessore, o meglio sensibilità. C'è una storia da raccontare. Una storia che Hollywood non ne voleva proprio sapere di portare sul grande schermo (era nella cosiddetta black list di quelle opere valide ma mai portate sul grande schermo). I protagonisti di Gold – La grande truffa hanno di sicuro più in comune con gli uomini de La grande scommessa (2015, di Adam McKay). Pensano al proprio tornaconto senza spacciarsi per chissà quali antieroi del Sistema.

In Gold – La grande truffa (2016, di Stephen Gaghan) ci sono esseri umani con le proprie debolezze. Matthew McConaughey (Dallas Buyers Club, Interstellar, La foresta dei sogni) aggiunge un'altra importante performance alla sua carriera. Sbuffa. Si perde. Brinda. Cede. Non si vergogna di ciò che è. Tanto alla ricerca della nobiltà del portafogli quanto fiero del sangue proletario che gli scorre tra le unghie.

In perfetta sintonia recitativa, Edgar Ramirez (Che - L'argentino, La furia dei titani, Zero Dark Thirty) e Bryce Dallas Howard (Spider-Man 3, The Help, Il drago invisibile). L'oro, come la ricchezza spropositata delle azioni, ha i connotati del grande inganno. Il mondo non se ne accorge. Il mondo è troppo impegnato a guardare lo sport o a informarsi di quale costume da bagno indosserà chissà quale "illustre personaggio". Il mondo va avanti così. Gold – La grande truffa (2016, di Stephen Gaghan)

Il trailer di Gold - La grande truffa


Gold - la febbre dell'oro travolge Kenny Wells (Matthew McConaughey

sabato 13 maggio 2017

Singles, la mia colonna sonora preferita

Il cd originale della colonna sonora del film Singles - L'amore è un gioco (1992, di Cameron Crowe
La mia colonna sonora preferita di tutti i tempi? Singles (1992), dell'omonimo cult diretto da Cameron Crowe. Canzoni che fotografano la nascente scena musicale di Seattle e forse anche una generazione

di Luca Ferrari

Canzoni indelebili. Tappeti mnemonici. "Sfregevoli" carezze interiori. Sale in cattedra la musica della settima arte. Singles - L'amore è un gioco (1992, di Cameron Crowe). Un film manifesto. Una commedia senza troppe pretese. Sullo sfondo delle vicende dei protagonisti in quella città mai troppo conosciuta, Seattle, ci sono loro. Band che di lì a poco cambieranno per sempre il panorama del rock. Cameron Crowe è un esperto giornalista musicale e immortala quel sound prima della sua consacrazione. Il risultato è una colonna sonora epica. E quando la sua telecamera indugia sul murales colorato con la scritta MOTHER LOVE BONE, è tempo di schiacciare play (e non spegnere più, ndr).

L'antefatto. Sto sfogliando il mensile Ciak di aprile 2017 quand'ecco incappare in un articolo su Kill Your Friends (2015, di Owen Harris con protagonista Nicholas Hoult), film ambientato nella seconda metà degli anni Novanta, ossia durante l'esplosione del Brit Pop. Poco più in alto, un piccolo box dall'invitante dicitura: 3 DVD PER VOI. Volete ricevere il dvd di Kill Your Friends? Allora scrivete a Ciak raccontando qual è la vostra colonna sonora preferita di tutti i tempi. Non ci devo neanche pensare: Singles - L'amore è un gioco (1992, di Cameron Crowe).

13 le tracce complessive. Si comincia con la possente Would? degli Alice in Chains. Due le canzoni dei Pearl JamBreath e State of Love and Trust. Entrambe assenti nella discografia ufficiale, se la seconda è una cavalcata rock in piena regola, la prima incarna il perfetto stile della band in un crescendo sonoro fino alla ritmata esplosione. Seasons è pura poesia sonora. intonata da Chris Cornell, "ugola" dei Soundgarden qui presenti più avanti nel disco con Birth Ritual, suonata dal vivo anche nel film.

Per chi conosce la storia della musica di Seattle, è da commozione Chloe Dancer/Crown of Thorns dei Mother Love Bone, in ricordo del suo cantante Andy Wood (1966-1990) scomparso pochi anni prima. Non possono ovviamente mancare loro, la sola band che personalmente collego all'abusata parola "grunge", ossia a un suono sporco: i MudhoneyOverblown è tosta e punkeggiante. Due le canzoni scritte appositamente per il film da Paul Westenberg: Dyslexic Heart e Waiting for Somebody, quest'ultima perfetta per lo sviluppo della trama del film.

Autentica chicca, la cover dei Led Zeppelin, The Battle of Evermore, suonata dalla band locale The Lovemongers. Una canzone che lo confesso, ho sempre immaginato di suonare a tu per tu con una mia amica di penna. Anche se non ufficialmente, chiude il disco un'altra band storica di Seattle, gli Screaming Trees, con l'orecchiabile e potente Nearly Lost You. Anche le opere migliori èerò hanno i loro difetti e in questo caso sono due, o meglio uno (con riserva) + uno.

Se May This Be Love di Jimi Hendrix può avere una sua logica come omaggio ai natali di Seattle del funambolico chitarrista da molti considerato il migliore del mondo, l'unica canzone a risultare del tutto fuori luogo è Drown degli Smashing Pumpkins, band di Chicago che nulla ha che fare con la città nordamericana se non per il frullatore commerciale che unì le band cosiddette "alternative". Mancano infine i Nirvana che avrei visto bene con Drain you o ancora meglio Come As You Are, manifesto di una certa semplicità esistenziale ben incarnato dalla città di Seattle.

Ex-giornalista di Rolling Stone, tutta la cinematografia di Cameron Crowe (Jerry Maguire, Elizabethtown, La mia vita è uno zoo) è stata scandita dalle sette note, incluso Quasi famosi (2000), film che gli fece vincere il premio Oscar per la Miglior sceneggiatura. Sua ultima fatica, la serie televisiva Roadies (2016) con protagonista Luke Wilson e ambientata nel dietro le quinte del rock. Fra le tante comparse  nei panni di se stessi c'è Eddie Vedder (presente anche in Singles). cantante di quei Pearl Jam su cui realizzò il film-documentario per il ventennale del gruppo. 

Singles - L'amore è un gioco (1992, di Cameron Crowe). Dopo averlo avuto (e guardato) per anni in videocassetta, di recente l'ho acquistato in dvd. Il cd originale della colonna sonora invece lo conservo (e ascolto) dall'ottobre 1996, acquistato nell'allora Ricordi di Padova. Singles, una colonna sonora per ripensare alla mia vita e con cui scrivere nuove pagine del futuro che mi attende. Canzoni per sentirsi estraniati ed esaltare l'adrenalina. Singles, canzoni per riprendere i comandi della propria vita e mettersi in cammino.


Estratti della colonna sonora di Singles

Il booklet del cd originale della colonna sonora del film Singles - L'amore è un gioco (1992, di Cameron Crowe
Il booklet del cd originale della colonna sonora del film Singles - L'amore è un gioco (1992, di Cameron Crowe
Il booklet del cd originale della colonna sonora del film Singles - L'amore è un gioco (1992, di Cameron Crowe

giovedì 11 maggio 2017

...ehi Will Ferrell, il polpettone!

Due single a nozze Wedding Creshers - il diabolico Chazz (Will Ferrell)
Il folle maestro di "abbordaggio" Chazz Reynolds (Will Ferrell) vive ancora con sua madre. E se un amico lo va a trovare, gli offre il polpettone. Sempre che glielo porti... cazzzzzzzzzzo!!!

di Luca Ferrari

Latin lover della peggiore specie, capace perfino di sedurre fragili donne ai funerali. "Il dolore è il più grande afrodisiaco in natura" spiega tronfio e dotto. Lui è Chazz Reinhold (Will Ferrell). Un'autorità nel campo. Ma se il suo protetto Jeremy (Vince Vaughn) sta ormai virando verso la monogamia, il compare di lui John Beckwith (Owen Wilson) è pronto a intraprendere nuove strade. Eccolo allora andare a trovare il Maestro direttamente a casa sua. Ancora non ha idea di cosa lo aspetti. John non ha davvero idea chi si troverà davanti.

Vestaglia alla Hugh Hefner (fondatore di Playboy, ndr). Sguardo allucinato. Cinico. Insaziabile libido e non di meno, ancora parcheggiato a casa di mamma. Lui è Chazz Reinhold. Un ego spropositato. Un mostro delle tecniche per una "botta e via". Il suo campo d'azione sono i matrimoni. Adesso però è passato a un livello successivo. Quasi, inimmaginabile. S'imbosca ai funerali inscenando dolore con un piano ben preciso. Dalla gioia alla sofferenza, il risultato è sempre quello.

2 single a nozze - Wedding Crashers (2005 di David Dobkin) è una commedia esilarante capace di alternare momenti di spassosa ilarità a un uggioso romanticismo. Oltre ai già citati, spiccano nel cast Rachel McAdams (la dolce Claire), Isla Fisher (la giovane ninfomane Gloria), Bradley Cooper (il macho Zachary), Jane Seymour (la matura Kathleen, anch'essa dall'incontrollato appetito sessuale) e Christopher Walken (il potente senatore William Cleary).

Il capolavoro demenziale però è tutto nella follia di Chazz. Sotto mentite (e sempre nuove-false) spoglie, John e Jeremy conquistano donne su donne fino a quando il biondino non incappa nello sguardo di Claire. Scoperto il trucco, John cade in depressione salvo poi uscire dal tunnel con la complicità di Chazz. Ciò che segue è puro cult. Una scena che potrete vedere, assaggiare e godere per sempre qui su cineluk. Cazzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzo!!!!!

Chazz e il poplettone

Due single a nozze Wedding Creshers - "l'elegante" Chazz (Will Ferrell)

mercoledì 10 maggio 2017

Emir Kusturica sulla Via Lattea

Sulla Via Lattea - il lattaio Kosta (Emir Kusturica)
Nel cuore sfregiato della Guerra Balcanica, un uomo e una donna trovano l'amore e cercano la pace. Presentato a Venezia 73, esce domani al cinema Sulla Via Lattea (2016, di Emir Kusturica).

di Luca Ferrari

La guerra dei Balcani sta sparando i suoi ultimi colpi, nelle grandi città così come sulla roccia. Giorno dopo giorno Kosta (Emir Kusturica) porta il latte da una fattoria a uno dei tanti micro-fronti, rischiando la vita e in attesa che la sua terra ritrovi la via della pace. Pallottole e trattati fanno il proprio corso, intanto due facce nuove stanno arrivando/tornando per mettere radici. Presentato in concorso alla 73° Mostra del Cinema di Venezia, giovedì 11 maggio esce sul grande schermo Sulla Via Lattea (On The Milky Road), di Emir Kusturica.

Kosta fa il suo lavoro. Silenzioso e deciso. Cuore granitico. Arriva a dorso di mulo. Carica due grosse taniche di latte nella fattoria della bella Milena (Sloboda Mićalović), sua futura sposa senza troppa convinzione, e torna in mezzo alla polvere da sparo. Non sembra troppo a suo agio con gli esseri umani. La vista del sangue versato può mutare l'equilibrio di un uomo. Nel suo percorso abitudinario si prende a cuore un grosso serpente, a cui gli regala sempre un po' di latte, quasi fosse un figlio.

La Storia prosegue. L'inchiostro dei trattati pone fine alle ostilità. La nuova geografia viene comunicata al mondo. Prima fratelli, ieri nemici e oggi chissà. Per chi è sopravvissuto c'è il festante ritorno a casa (...). Il più atteso della zona è quello del fratello di Milena, Žaga Bojović (Predrag Manojlović), eroe di guerra. Anch'esso sul punto di sposarsi con una misteriosa donna italiana (Monica Bellucci) giunta a pochi giorni dalla fine delle ostilità.

Sentimenti e giuramenti però non vanno nella stessa direzione. Cade la pioggia. Cessano i cannoni. Per qualcuno però la guerra non è mai finita e non finirà mai. I peccati vanno scontati. Non importa quanti arbusti andranno calpestati o cenere lasciata libera nel vento, l'ordine (o vendetta che dir si voglia) pretende il suo tributo. Quelli là in mezzo, quella “carne” piena di emozioni e pulsioni, deve prendere la sua decisione e agire. Correre e combattere, se necessario. Ma mai e ripeto mai, smettere di amare.

Non solo alterne vicende umane, anzi. Protagonista indiscusso di Sulla Via Lattea (2016, di Emir Kusturica) è il paesaggio crudo. C’è di tutto. Sole, vento, pioggia, fulmini e poi loro, quelle tragiche mine antiuomo, emblema della follia umana di cui molti esemplari (prodotti anche in Italia) sono ancora nascosti sotto la terra balcanica. Una terra di nessuno dove in troppi nel dopoguerra hanno fatto ciò che hanno voluto.

E mentre ancora troppa indegna Europa sfrutta il terrorismo alimentando paure e divisioni, tutti continuano a dimenticarsi di una ex-nazione (l'ormai scomparsa Jugoslavia) che avrebbe potuto diventare neo-Termopili inviolabili per certe idee assassine, invece niente. Prima il menefreghismo e l'orrore (non è accaduto solo il genocidio di Srebrenica, ndr), poi la separazione firmata, lasciando quella terra abbandonata a se stessa. I Balcani, emblema di ciò che è meglio dimenticare.

Il regista originario di Sarajevo ha scelto il latte. Il latte è vita. Mitragliata dopo mitragliata, mortaio dopo mortaio, Kosta continua il suo viaggio. Quasi un messaggero tra due mondi. E cosa si nasconde dietro quel grande orologio capace di ferire la dolcezza femminile con i suoi taglienti ingranaggi? Abbonda il simbolismo Sulla Via Lattea. Abbonda la poesia impestata di cielo riscaldato. Sulla Via Lattea gli zoccoli del proprio destino strisciano letali. Non temono conseguenze e carezzano la tempesta con gli occhi di quelle stelle a dieta rosea di desideri.

Non passa inosservata Monica Bellucci. Idolatrata in Francia (sarà la madrina della prossima edizione del Festival di Cannes), meno apprezzata nel Bel paese. Performance attoriali agli antipodi quando è diretta Oltralpe (Il patto dei lupi, Irreversible, L’Eletto), più modesta in produzioni anglo-italiane (Matrix Reloaded, Manuale d'am3re, il "Bondiano" Spectre). Nella nuova opera di Kusturica, l'attrice umbra è più che mai convincente. Una donna in fuga. Una donna a tratti “AnnaMagnanesca”.

Ottima l'interpretazione anche dell'attrice serba Sloboda Mićalović. Rispetto alla futura cognata italiana, più taciturna, è un fiume in piena. Parla, sbraita, balla. Anima gitana e gran cuore di donna innamorata. Tra lei e l'altra, Kosta. Il feeling con l'ultima arrivata è innegabile (da una parte e dall'altra) ma cosa potrebbero mai fare? E perché i Servizi Segreti britannici paiono essere sulle tracce della donna italiana?

Bosnia, Serbia, Macedonia, Croazia, Slovenia, Montenegro. Ma chi li conosce davvero. Emir Kusturica (Il tempo dei gitani, Arizona Dream, Gatto nero gatto bianco) ambienta il suo nuovo film Sulla Via Lattea da qualche parte sopra la solida crosta slava. Una realtà dove la durezza è intrinseca nel sangue di uomini e donne. Un'altura scoscesa dove il ricordo di un amore non più condivisibile può dare quel senso di pace eterna ma bagnata dalle lacrime di chi è ancora in vita.

Il trailer di Sulla Via Lattea

Sulla Via Lattea - Kosta (Emir Kusturica) e Milena (Sloboda Mićalović)
Sulla Via Lattea - la sposa (Monica Bellucci)

domenica 7 maggio 2017

Guardiani, salviamo di nuovo la Galassia!

I guardiani della galassia tornano in azione!
La ciurma interplanetaria più improvvisata e variegata del Cosmo è tornata in azione. Siete tutti avvisati! Guardiani della Galassia vol. 2 (2017, di James Gunn).

di Luca Ferrari

Sono scaltri. Sono lanciati. Sono decisi, impavidi e imperfetti. Sono i Guardiani della Galassia. Ad accomunarli, un passato difficile e non così nobile come la loro neo-missione. Hanno affrontato tani nemici e molte sfide ancora li attendono. L'universo forse gli sta stretto ma nessuno ha delle mire precise. In attesa di trovare il loro posto nel mondo, intanto si stringono in questi legami non dichiarati. Distribuito dai Marvel Studios, è arrivato il giorno dei Guardiani della Galassia vol. 2 (2017, di James Gunn).

Peter “Star-Lord” (Chris Pratt), il "pelosetto" Rocket (voce originale di Bradley Cooper), Gamora (Zoe Saldana), Drax (Dave Bautista) e il piccolo arboreo Groot (voce originale di Vin Diesel) sono di nuovo in azione. Non sono più le mine impazzite di un tempo. Oggi sono una squadra, riconosciuta anche dai nobili Sovereign. Il lupo, anzi il procione però, perde il pelo ma non il vizio e così, in mezzo a tanti complimenti ricevuti per la missione portata a termine, eccolo fregargli delle batterie suscitando ovviamente l'ira della loro regina Ayesha (Elizabeth Debicki).

Fallito un primo tentativo di abbatterli grazie all'insperato intervento del celestiale Ego (Kurt Russell), viene assoldato il patrigno di Peter, l'emarginato Yondu (Michael Rooker), cacciato dai Ravager per colpe del passato come il loro stesso capo Stakar Ogord (Sylvester Stallone) gli ribadisce senza mezze misure. Yondu alla fine è un mercenario e accetta l'incarico, mettendosi così alla ricerca della Milano, l'astronave dei Guardiani nel frattempo precipitata sul pianeta Berhart, una creazione di Ego, che si scopre avere un legame di sangue con un membro dell'equipaggio.

Le verità si rivelano. Sopite emozioni spintonano. Ogni personaggio si ritrova coinvolto in più di un confronto. Gamora con Stalord prima e Nebula (Karen Gillan) poi, quest'ultima desiderosa di vendetta poiché mutilata a causa della bravura in combattimento di lei. Drax è attirato “dall'orribile” Mantis (Pom Klementieff), l'unica creatura presente su Berhart e desiderosa di raccontare a questi avventurieri qualcosa che furbescamente Ego tiene celato. O per lo meno lo farà fino al momento giusto. Come ogni bravo genitore egoista infatti, anche lui pretende dalla propria discendenza e faccia ciò che vuole.

Catturato e legato, Rocket sfoggia il meglio della sua spregiudicata lingua tagliente, denigrando il possente e brutale Taserface (Chris Sullivan) e ridicolizzandolo davanti al proprio equipaggio. A salire in cattedra più di tutti però è Yondu. La sua è una storia di avidità ed esilio (impostogli e non). Non ha la pretesa di insegnare niente a nessuno ma anche lui possiede un cuore e il devoto Kraglin (Sean Gunn) durante l'ammutinamento non lo abbandona. La sua è la battaglia più dura. La sua sarà la scelta più onorevole: la lungimiranza. Tutti un giorno lo capiranno e gli renderanno onore. Tutti, ma proprio tutti.

I Guardiani della Galassia non sono i Vendicatori. Figli dai natali complicati, le loro cicatrici non sono medaglie al valore ma asteroidi che non smetteranno mai di ruotare attorno alle rispettive anime oscuro-solari. Raramente i sequel sono all'altezza, e nel caso della Marvel è quasi una regola, di cui Avengers: Age of Ultron (2015, di Joss Whedon) è il peggior esempio. Al contrario questo Volume 2 spinge su più tasti emotivi riuscendo a ben miscelare tutti i vari segmenti dell'animo umano.

Vista nel pregevole e recente The Circle (2017, di James Ponsoldt), la scozzese Karen Gillian è più grintosa che mai. Stringe i pugni. Spara senza pietà ma dentro il proprio corpo mutato c'è ancora la forza di un sentimento pronto a cambiare direzione, perseguendo comunque la vendetta. Coppia di vecchi leoni Kurt Russell (Stargate, Grindhouse, The Hateful Eight) e Sylvester Stallone (I falchi della notte, Fuga per la vittoriaRocky IV), di nuovo insieme dai tempi di Tango & Cash (1989). Non sono comprimari. Ego ha uno scopo, Stakar ha degli ordini da eseguire. Vorrebbe essere meno ligio ma dentro di sé ha la convinzione che qualcosa saprà trovare la strada del riscatto.

Guardiani della Galassia vol. 2 (2017, di James Gunn) ha vinto la sua scommessa e di sicuro si è guadagnato il diritto di proseguire l'avventura, nello spazio infinito così come sul grande schermo. Ogni personaggio ha una storia ricca di segreti e sfaccettature imprevedibili, ancor di più per coloro che sono a dieta di fumetti cartacei. Se regista e sceneggiatore sapranno lavorare bene e senza troppa fretta, siamo di fronte al miglior prodotto di casa Marvel Comics. La missione dei Guardiani della Galassia continua.

Il trailer dei Guardiani della Galassia vol. 2

Guardiani della Galassia vol. 2 - Rocket e il piccolo Groot 
Guardiani della Galassia vol. 2 -  Yondu (Michael Rooker)

mercoledì 3 maggio 2017

The Circle, il ricatto della trasparenza

The Circle -  Mae Holland (Emma Watson)
“I segreti sono bugie. La vera democrazia è la trasparenza”. Attenzione a metterlo davvero in pratica. Qualcuno ne potrebbe approfittare (per sempre). The Circle (2017, di James Ponsoldt).

di Luca Ferrari

La solitudine? Una malattia da estirpare. Le esperienze non condivise? Un atto di vergognoso egoismo da non ripetere mai e poi mai. Il terzo millennio ha definito le sue catene. Hanno il sapore della libertà e la trasparenza di una condanna. Tutti si mostrano. Tutti si devono mostrare online. La propria vita deve essere alla portata di chiunque sempre e comunque. Adattamento cinematografico del romanzo "Il cerchio" di Dave Eggers, è uscito sul grande schermo The Circle (2017, di James Ponsoldt).

Mae Holland (Emma Watson) lavora in un call center fornendo assistenza. Rigorosa e precisa, fa il proprio dovere con impegno e cordialità sognando un posto migliore. L'occasione di una vita finalmente bussa alla sua porta, o meglio le squilla al proprio telefono, quando l'amica Annie (Karen Gillan) le fa sapere di averle fissato un colloquio dove lei è stessa impiegata ed è un pezzo grosso: The Circle, una potente azienda nel campo delle telecomunicazioni che gestisce quello che è al momento il social network più popolare.

Smaltito il classico colloquio psico-attitudinale, Mae viene introdotta in un mondo dove giorno dopo giorno scoprirà sempre di più che se vuole davvero fare carriera, dovrà essere disposta a rinunciare al ogni angolino non illuminato della propria vita fino ad arrivare perfino a mettersi in condivisione live social dal risveglio alla buonanotte. I due potenti cofondatori-guru Eamon Bailey (Tom Hanks) e Tom Stanton (Patton Oswalt) sono lì a osservare e meditare. Novelli padre eterni di un mondo che vogliono costruire senza più segreti e trasparente.

Mae è attratta e da The Circle ma allo stesso tempo ne comprende l'invasiva presenza. Lavorare per loro significa partecipare agli eventi che creano. Spegnere il proprio telefono non è ammissibile. Non condividere le proprie esperienze è al limite del licenziamento. Abbandonare il proprio dormitorio per tornare a casa da sola rappresenta un suicidio sociale. Quando però scopre che la rinuncia alla propria "oscurità" la porterebbe ad avere una copertura sanitaria anche per il padre gravemente malato, Vinnie (Bill Paxton), per la ragazza non ci sono più dubbi su cosa fare.

Come accadeva anche per l'aspirante giornalista Andy Sachs alle prese con le bizzarrie del Diavolo vestito di Prada, ogni passo avanti nella scala del lavoro, significa retrocedere in quella affettiva tanto con la famiglia quanto con l'amico Mercer (Ellar Coltrane), umile e normale, quest'ultimo per nulla attratto dal regalare al mondo i propri sentimenti e soprattutto svenderli nel nome di chissà quale neo-divinità internettiana. Mae si ritrova dunque a un bivio. A essere interessati al potenziale della ragazza però non ci sono solo i suoi capi. c'è anche Kalden (John Boyega), un giovane che sembra avere le idee molto chiare su ciò che sta accadendo lì nella rete.

Ogni giorno uomini e donne riversano sui social network (Facebook e Instagram in particolare) gran parte della loro vita privata. A giudicare da quanto si vede, pare un mondo coabitato da persone felici. Le negatività sta sempre più scomparendo. La negatività è rischiosa da condividere e visto (e appurato) che tra post & tweet sguazzano gli head hunter (leggete il mio messaggio che da tempo ho in serbo per voi, ndr) convinti di poter capire il valore di una persona da ciò che scrive, o meglio, rendono pubblico, non è consigliabile farsi guidare da rabbia, depressione o rancore.

Dalla poesia on the road di The End of the Tour – Un viaggio con David Foster Wallace (2015) con Jason Segel e Jesse Eisenberg allo spauracchio dell’era moderna di The Circle (2017), per il regista James Ponsoldt la base è sempre quella del reale. La condivisione estrema non è fantascienza. È già realtà. Dalle proprie dichiarazioni di voto nel giorno delle elezioni alle foto dei propri figli/nipoti, preda facile dei moltissimi pedofili che si aggirano per il web, per ancora troppa gente tutto questo non rappresenta una minaccia. L'importante è condividere, ottenere like o chissà cosa. Nel terzo millennio la privacy è morta. Nel terzo millennio i tanti uomini e donne di The Circle sono qui a giudicare.

La giovane età e il viso ancora molto pulito rendono Emma Watson (Harry Potter, Bling Ring, Colonia) un'attrice perfetta per ruoli così ambigui. Ingenua. Spietata. Decis(iv)a. Non è certo una scoperta invece il due volte premio Oscar Tom Hanks (Philadelphia, Saving Mr. Banks, Il ponte delle spie), al contrario qui in The Circle in un ruolo (subdolo) di cui non si è certo abituati a vederlo. Personaggio a dir poco emblematico quello interpretato da Karen Gillan (Doctor Who, Guardiani della Galassia, La grande scommessa). Lei è l'euforia che si trasforma in sgomento e rottura. Lei è l'essere umano che si ribella alle macchine e il sistema.

The Circle (2017, di James Ponsoldt) è un film su una realtà onnipresente. La tanto invocata trasparenza (anche da una certa politica nostrana) è alla fine solo un potere esercitato da qualcuno. Oggigiorno e sempre più si leggono (anche) notizie di cronaca inquietanti sul mondo dei social newtork e la rete, senza dubbio il più grande strumento di controllo delle masse. E nonostante i tanti Edward Snowden provino a metterci in guardia, il risultato è un aumento costante delle presenze e dei contenuti regalati a chiunque.

In visione (anche) fino a mercoledì 10 maggio al cinema Rossini di VeneziaThe Circle (2017, di James Ponsoldt) è un vero thriller dei tempi moderni. I moderni burattinai si ergono a impeccabili divinità dalla coscienza immacolata. Il controllo totale impedisce la violenza di ogni tipo, incidenti e disgrazie. Un mondo perfetto. È quello che hanno sempre promesso i dittatori: “affidami la tua vita e io ti proteggerò”. A che prezzo? Quello non viene mai specificato. Quello è il prezzo da pagare. Attenzione a entrare dentro il "cerchio" (The Circle) della condivisione selvaggia della vostra vita, potreste (già) non essere più in grado di tornare indietro.

Il trailer del film The Circle
The Circle -  I cofondatori di Circle, Eamon Bailey (Tom Hanks) e Tom Stanton (Patton Oswalt